Falsità in autocertificazione covid-19: non sussiste obbligo giuridico di dire la verità per il privato sottoposto a controllo

La confessione, Giuseppe Molteni, 1838
La confessione, Giuseppe Molteni, 1838

Con sentenza del 12.03.02021 Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano all’esisto di giudizio abbreviato, ha assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” un imputato al quale veniva contestato il reato di cui all’art.483 c.p. in relazione all’art. 76 D.P.R. 445/00 perché “fermato durante un controllo dei passeggeri in transito nella Stazione di Milano Cadorna effettuato dagli Agenti della POLFER, affermava falsamente un fatto del quale l’atto era destinato a provare la verità. Segnatamente in sede di autodichiarazione dichiarava di lavorare presso il […..] di […..] n.162  in Milano e di fare rientro presso il proprio domicilio, circostanza non corrispondente al vero”.

 

Per il Giudice, non solo manca una norma specifica sull’obbligo di verità nelle autocertificazioni da emergenza Covid-19, ma è altresì incostituzionale sanzionare penalmente le false dichiarazioni di chi ha scelto legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative in quanto “Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge e una sua ipotetica configurazione si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (art. 24 Cost.) e con il principio nemo tenetur se detegere, in quanto il privato, scegliendo legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative, verrebbe comunque assoggettato a sanzione penale per le false dichiarazioni rese”


Per ulteriore precedente in tema, favorevole all'imputato, v. Trib. Reggio Emilia, Sent. 54/2021

PER APPROFONDIMENTI                                                                                                                    

 Editoria Giuridica⧉                                                 


Di seguito il testo integrale della Sentenza.

                                                                                                                                                                                                                                                                          

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Giudice Dott. ssa DEL CORVO ha pronunciato la presente

 

S E NT E NZA

 

nel giudizio abbreviato celebrato nei confronti di:

[omissis], nato a Milano, il [omissis], residente a [omissisin via [omissis]

 

Libero assente

Difeso di fiducia dall'avv. [omissis] del Foro di Milano

 

Presente, munita di procura speciali atti

 IMPUTATO

 

del delitto p .e p. dall'art. 483 in relazione all'art. 76 del D.P.R. 445/00, perché, fermato durante un controllo dei passeggeri in transito nella Stazione di Milano Cadorna effettuato dagli Agenti della Polfer, affermava falsamente un fatto del quale atto era destinato a dimostrare la verità.

In sede di autodichiarazione dichiarava di lavorare presso il [omissis] di n. 162 in Milano e di fare rientro presso il proprio domicilio, circostanza rispondente al vero.

Fatto commesso in Milano il 14.03.2020 

 

CONCLUSIONI DELLE PARTI

 

II P.M. ha chiesto una pronuncia di assoluzione perché il fatto non sussiste.

Il difensore dell'imputato si è associato alle conclusioni del pubblico ministero. 

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con atto di opposizione a decreto penale di condanna emesso dal Gip di Milano in data 26.10.2020, il difensore chiedeva di procedere con giudizio abbreviato condizionato alla produzione di documentazione, e in subordine o in alternativa, all'audizione di un testo.

All'udienza camerale del 12.03.2021, acquisita la documentazione prodotta dalla difesa, era ammesso al giudizio abbreviato richiesto.

Le parti concludevano come da verbale e il Gip pronunciava sentenza di assoluzione come da dispositivo in atti, riservando la motivazione nel termine di legge.

 

Dagli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, in particolare dall'annotazione di P.G. del 18.05.2020, si evince che il precedente 14 marzo 2020 alle ore 20.45 [omissis] veniva controllato da una pattuglia della Polfer presso la stazione di Milano Cadorna nell'ambito delle procedure di controllo previste dalla normativa emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19.

[omissis] in quella circostanza sottoscriveva un'autodichiarazione ai sensi degli art. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000, dichiarando di essere in transito da Milano diretto a [omissis], dove risiedeva, e di essersi trovato a Milano per comprovate esigenze lavorative, nello specifico dichiarava di lavorare presso il negozio [omissis] di [omissis].

In data 24 marzo 2020 l'Assistente Capo della Polfer in servizio procedeva a verificare alcune autodichiarazioni fornite dagli individui in transito nella stazione di Milano Cadorna, e tra queste verificava quella fornita da [omissis]. In particolare inviava una mail certificata all'indirizzo di [omissis] a Milano, e ne riceveva, sempre tramite mail, la risposta che [omissis] il giorno 14.03.2020 non era stato impiegato in alcun tipo di lavoro.

 

Nei confronti dell'odierno imputato il P.M. ha quindi proceduto per il reato di cui gli art. 483 c.p. in relazione all'art. 76 D.P.R. n. 445/2000, ovvero, sebbene non chiaramente indicato in imputazione, per le presunte false dichiarazioni rese da [omissis] in sede di autodichiarazione sottoscritta ai sensi degli art. 46 e 47 DPR n. 445/2000.

Il difensore ha prodotto documentazione relativa all'attività lavorativa svolta dall'imputato e, in particolare, il foglio presenze sottoscritto e timbrato proprio da [omissis], sede di [omissis] a Milano, da cui si evince che il giorno 14.03.2020 si trovava sul posto per svolgervi attività lavorativa (con orario di uscita alle 18.15).

Sussiste pertanto un evidente contrasto tra la documentazione prodotta dalla difesa e quella contenuta nel fascicolo del P.M., contrasto che induce quantomeno a dubitare circa l'effettiva falsità di quanto dichiarato da [omissis] all'atto del controllo da parte dell'Agente della Polfer in data 14.03.2020.

E tuttavia, preliminarmente, va evidenziato come non sussistano nemmeno astrattamente e nel caso di specie i presupposti costitutivi della fattispecie delittuosa di cui all'art. 483 c.p. contestata.

L'art. 483 c.p., infatti, incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale "fatti dei quali atto è destinato a provare la verità".

Il riferimento ai "fatti" è contenuto nell'art. 46 DPR 445/2000, il quale consente di comprovare con una semplice dichiarazione del privato "in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti", nel comma l dell'art. 47, il quale consente al privato di sostituire l'atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto "fatti che siano a conoscenza dell'interessato " (comma 1), nel comma 2 della disposizione richiamata che si riferisce, quale contenuto alternativo della dichiarazione del privato, agli "stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza", infine, nel terzo comma del citato art. 47, il quale prevede che "nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'art. 46 sono comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà".

Escluso che la norma in esame preveda un generale obbligo di veridicità nelle attestazioni che il privato renda al pubblico ufficiale, la destinazione "alla prova" è stata individuata nella specifica rilevanza giuridica che abbia la documentazione pubblica dell'attestazione del privato.

Per pacifica giurisprudenza di legittimità, le false dichiarazioni del privato integrano infatti il delitto di falso in atto pubblico quando sono destinate a provare la verità dei fatti cui si riferiscono nonché ad essere trasfuse in un atto pubblico: secondo la Corte, in altri termini, il delitto previsto dall'art. 483 c.p. sussiste solo qualora l'atto pubblico, nel quale la dichiarazione del privato è stata trasfusa, sia destinato a provare la verità dei fatti attestati, e cioè quando una norma giuridica obblighi il privato a dichiarare il vero ricollegando specifici effetti all'atto-documento nel quale la sua dichiarazione è stata inserita dal pubblico ufficiale (così, a titolo esemplificativo e proprio in tema di false autodichiarazioni rese ai sensi degli art. 46 e 47 D.P.R. n. 445/2000, integra il reato in oggetto la falsa dichiarazione circa le condizioni di reddito fungenti da presupposto per l'assegnazione di una casa popolare o, ancora, per l'ottenimento di un abbonamento mensile a tariffa agevolata ai servizi di trasporto comunale. Altresì, si è ritenuto integrato il reato in esame a carico del privato che renda false attestazioni circa gli stati, le qualità personali e i fatti indicati nell'art. 46 del D.P.R. di partecipare ad una gara d'appalto o che, all'atto di una richiesta analizzata ad ottenere un passaporto, dichiari falsamente nella dichiarazione sostitutiva di certificazione di non avere riportato "sentenze di condanna", e così via: tutte ipotesi nelle quali una specifica norma giuridica attribuisce all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale).

In tale prospettiva, peraltro, il delitto di cui all'art. 483 c.p. si consuma non nel momento in cui il privato rende la dichiarazione infedele, ma in quello della relativa percezione da parte del pubblico ufficiale che la trasfonde nell'atto pubblico.

 

Dunque, in tutti i casi quale quello in esame - nel quale l'autodichiarazione in ipotesi infedele è resa dal privato all'atto di un controllo casuale sul rispetto della normativa emergenziale - appare difficile stabilire quale sia l'atto del pubblico ufficiale nel quale la dichiarazione infedele sia destinata a confluire con tutte le necessarie e previste conseguenze di legge.

Da un lato, infatti, il controllo successivo sulla veridicità di quanto dichiarato dai privati è solo eventuale e non necessario da parte della pubblica amministrazione: pertanto, quanto dichiarato dal singolo all'atto della sottoscrizione dell'autodichiarazione potrebbe di fatto restare privo di qualunque conseguenza giuridica; dall'altro, occorrerebbe ipotizzare che l'atto destinato a provare la verità dei fatti autodichiarati e certificati dal privato sia il successivo (eventuale) verbale di contestazione di una sanzione amministrativa o l'atto di contestazione di un addebito di natura penale, come l'atto di "informativa ai danni della conoscenza del procedimento" e il "verbale di identificazione e dichiarazione o elezione di domicilio": a tale proposito va rilevato che, nel caso di specie, all'epoca di commissione del fatto contestato a la violazione delle prescrizioni contenute nel D.P.C.M. dell'08.03.2020 relative al divieto di spostamento fuori dalla propria abitazione o comune di residenza se non per le comprovate ragioni ivi previste era sanzionata penalmente ai sensi dell'art. 650 c.p.

E, tuttavia, appare evidente come non sussista alcun obbligo giuridico per il privato che si trovi sottoposto a controllo nelle circostanze indicate di "dire la verità" sui fatti oggetto dell'autodichiarazione sottoscritta, proprio perché non è rinvenibile nel sistema una norma giuridica che ricolleghi specifici effetti ad uno specifico atto-documento nel quale la dichiarazione falsa del privato sia in ipotesi inserita dal pubblico ufficiale.

Opinando diversamente, peraltro, si dovrebbe concludere ritenendo che il privato sia obbligato a "dire il vero" sui "fatti" oggetto dell'autodichiarazione resa pur sapendo che ciò potrebbe comportare la sua sottoposizione ad indagini per la commissione di una condotta avente rilevanza penale o, ancora, il suo assoggettamento a sanzioni amministrative pecuniarie anch'esse parimenti afflittive e punitive.

Un simile obbligo di riferire la verità non è previsto da alcuna norma di legge e una sua ipotetica configurazione si porrebbe in palese contrasto con il diritto di difesa del singolo (art. 24 Cost.) e con il principio nemo tenetur se detegere, in quanto il privato, scegliendo legittimamente di mentire per non incorrere in sanzioni penali o amministrative, verrebbe comunque assoggettato a sanzione penale per le false dichiarazioni rese.

 

In altri termini, aderendo alla prospettiva del P.M. procedente, si sarebbe trovato di fronte all'alternativa di scegliere tra riferire il falso, al fine di non subire conseguenze per sé pregiudizievoli, venendo tuttavia assoggettato a sanzione penale ai sensi degli art. 483 c.p. e 76 D.P.R. n. 445/2000, oppure riferire il vero nella consapevolezza di poter essere sottoposto a indagini per il reato di cui all'art. 650 c.p. (avuto riguardo all'epoca di commissione del fatto).

Conclusione che, da un lato, contrasta con il diritto di difesa dell'imputato e, dall'altro, deve escludersi alla luce della formulazione dell'art. 483 c.p. e della strutturazione del fatto tipico del delitto di falso ideologico disciplinato da tale norma, per come pacificamente interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.

 

In definitiva, va assolto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste.

 

P.Q.M.

 

Visto l'art. 530 c.p.p.,  

ASSOLVE

 

[omissisdal reato lui ascritto perché il fatto non sussiste.

 

Milano, 12 marzo 2021

Falsità in autocertificazione Covid-19: non sussiste obbligo giuridico di dire la verità