Danni punitivi: apertura delle S.U. al riconoscimento di sentenze straniere

Avvocato Carlo Florio
Corte Suprema degli Stati Uniti

Le Sezioni Unite, con Cass.Civ., S.U., Sent. 5 Luglio 2017, n. 16601, hanno confermato l'apertura del nostro Ordinamento al riconoscimento delle sentenze straniere che contemplano il risarcimento dei c.d. danni punitivi, noto istituto di matrice anglosassone.

Il riconoscimento, infatti, veniva negato dalla tradizionale Giurisprudenza che individua nella responsabilità civile una funzione meramente restauratrice della sfera patrimoniale, con la conseguente incompatibilità dei danni punitivi ai principi generali del nostro ordinamento Giuridico.

La S.C. ripercorre i tratti salienti del dibattito dottrinale e la Giurisprudenza degli ultimi anni, sino a riconoscere che all’istituto aquiliano può essere assegnata funzione di deterrenza e sanzionatoria. Sono così individuate le condizioni per il riconoscimento delle decisioni straniere in materia, più precisamente: l'esistenza di “basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell’atto straniero e alla loro compatibilità per l’ordine pubblico” 

Editoria Giuridica 

Cass. Civile Sent. Sez. U Num. 16601 Anno 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE PRIMA CIVILE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: [omissis]

pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

sul ricorso 13310-2014 proposto da: A. S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in [omissis], presso lo studio dell'avvocato G.T., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati M.D.C. e L.F.; - ricorrente

contro

N., elettivamente domiciliata in [omissis], presso lo studio dell'avvocato C.P., che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati E.G. e D.T.; - controricorrente –

avverso

la sentenza della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 03/01/2014. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/2017 dal Consigliere Dott. PASQUALE D'ASCOLA; uditi gli avvocati M.D.C., C.P. e D.T.; udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. G.G., che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, riaffermazione del principio di contrasto con l'Ordine Pubblico Italiano della sentenza USA di condanna a danni punitivi.

 

Fatti di causa

 

La società N., con sede in Florida (USA), ha ottenuto dalla Corte di appello di Venezia che siano dichiarate efficaci ed esecutive, nell'ordinamento italiano, tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti d'America, passate in giudicato: la sentenza del 23 settembre 2008, esecutiva, della Circuit Court of the 17th Judicial Circuit for Broward Count (Florida), confermata in appello dal District Court of Appeal of the State of Florida, dell'Il agosto 2010, che aveva concannato la società italiana A.S. a pagare la complessiva somma di dollari USA 1.436.136,87, oltre interessi al tasso annuo dell'11%, a seguito di procedimento giudiziario svoltosi davanti a quell'autorità; la sentenza del 14 gennaio 2009, con cui il medesimo giudice aveva liquidato dollari USA 106.500,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese lega i e degli interessi al tasso annuo dell'8%; la sentenza del 13 ottobre 2010 che aveva liquidato, in relazione al giudizio di appello, l'ulteriore somma di dollari USA 9.000,00, a titolo di rifusione dei costi, delle spese legali e degli interessi al tasso annuo del 6%.

 

Con tali pronunce, i giudici americani hanno accolto la domanda di garanzia promossa da N., in relazione ad un indennizzo di un milione di euro transattivamente corrisposto ad un motociclista che aveva subito danni alla persona in un incidente avvenuto in una gara di motocross, per un asserito vizio del casco prodotto da A.S., distribuito da H.H. e rivenduto da N..

 

Nel giudizio promosso dal danneggiato anche nei confronti della società importatrice distributrice del casco (H.), N. aveva accettato la proposta transattiva del motociclista, e il giudice americano successivamente ha ritenuto che dovesse essere manlevata da A.S.. N. ha ottenuto dalla Corte di appello di Venezia (sentenza 3 gennaio 2014) il riconoscimento delle suddette pronunce, a norma dell'art. 64 della legge 31 maggio 1995 n.218, avendo la A.S. accettato la giurisdizione straniera.

 

La A.S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui si è opposta la N.. Le parti hanno presentato memorie. La causa è stata rimessa al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite, a seguito di ordinanza n. 9978/16 della Prima sezione, che ha sollecitato un ripensamento sul tema della riconoscibilità delle sentenze straniere comminatorie di danni punitivi. Nuove memorie delle parti sono state depositate prima della discussione conclusiva.

 

Ragioni della decisione

 

Con il primo motivo di ricorso A.S. denuncia violazione dell'art. 64 della legge 218/95, nonché omesso esame di un fatto decisivo.

 

Lamenta che la Corte di appello abbia ritenuto non contraria all'ordine pubblico la condanna della ricorrente, ancorchè il giudice americano abbia pronunciato contro A.S. in forza dell'applicazione dell'istituto del potential liability test, senza verificare il fondamento della domanda di garanzia.

 

Parte ricorrente espone che in base all'istituto de quo, allorquando il garantito addivenga, con il danneggiato, ad una composizione transattiva del giudizio, il garante viene posto davanti all'alternativa di approvare la transazione stipulata inter alios, subendone gli effetti, ovvero assumere la difesa del garantito

.

Quest'ultimo pertanto risulterebbe comunque vittorioso, semplicemente dimostrando che al momento della stipula dell'accordo vi era ragionevole probabilità di un esito a sé sfavorevole del giudizio. L'assenza di controllo sulla fondatezza della domanda di garanzia vedrebbe il garante coartato ad abbandonare le proprie difese rispetto alla domanda di garanzia, dando luogo ad una violazione dei principi dell'equo processo, del diritto alla difesa e al contraddittorio. Verrebbero lesi i principi di relatività dei contratti e della res judicata, che segnano, secondo la ricorrente, "i confini dell'efficacia soggettiva anche della transazione".

 

La Corte di appello avrebbe errato nel ritenere sufficiente per la delibazione la possibilità, offerta ad A.S., di costituirsi nel giudizio di responsabilità del venditore e il non aver essa sollevato obiezioni alla transazione.

 

Né potrebbe influire, ai fini della conformità all'ordine pubblico italiano, il rilievo della Corte veneta secondo cui vi era comunque stato un giudizio prognostico sul -ischio di causa, poiché trattavasi di valutazione che riguardava solo la posizione del garantito.

 

2.1) Nella giurisprudenza di questa Corte si rinvengono significative affermazioni che aiutano a valutare la questione posta. In tema di riconoscimento di sentenze straniere si è detto (Cass. 11021/13) che il concetto di ordine pubblico processuale è riferibile ai principi inviolabili posti a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, non anche alle modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie, e ciò in ragione delle statuizioni della Corte di Giustizia le cui pronunce (non solo il dispositivo, ma anche i motivi "portanti" della decisione) costituiscono l'interpretazione autentica del diritto dell'Unione europea e sono vincolanti per il giudice "a quo".

 

Ne consegue che anche il diritto di difesa - tenuto conto degli orientamenti della Corte di Giustizia delle Comunità europee. (sentenza 2 aprile 2009, causa C-394/2007, Gambazzi) - non costituisce una prerogativa assoluta ma può soggiacere, entro certi limiti, a restrizioni.

 

Si è aggiunto (Cass. 17519 del 03/09/2015) che "Il giudice deve verificare se siano stati soddisfatti i principi fondamentali dell'ordinamento, anche relativi al procedimento formativo della decisione, con la precisazione che non è ravvisabile una violazione del diritto di difesa in ogni inosservanza di una disposizione della legge processuale straniera a tutela della partecipazione della parte al giudizio, ma soltanto quando essa, per la sua rilevante incidenza, abbia determinato una lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo, ponendosi in contrasto con l'ordine pubblico processuale riferibile ai principi inviolabili a garanzia del diritto di agire e di resistere in giudizio, e non quando, invece, investa le sole modalità con cui tali diritti sono regolamentati o si esplicano nelle singole fattispecie.

 

Invero, secondo quanto si evince dalla giurisprudenza comunitaria il diritto di difesa può subire una moderata limitazione nel caso in cui il provvedimento sia stato emesso nei confronti di un soggetto che abbia avuto comunque la possibilità di partecipare attivamente al processo, quantomeno nella fase precedente a quella conclusasi con l'emissione del provvedimento".

 

2.2) Anche le sentenze di stati estranei all'Unione europea sono soggette, come comprovato dalle pronunce citate e dalle molte altre che hanno progressivamente raffinato la nozione di ordine pubblico, all'assetto che questo istituto ha acquisito per effetto delle Carte fondamentali del diritto dell'Unione.

Si può dire che, almeno a partire dalla sentenza Krombach (Corte europea diritti dell'uomo, 13-02-2001), si è avviato un fenomeno definito in dottrina di comunitarizzazione/europeizzazione del diritto internazionale privato e processuale.

 

In forza di questo fenomeno si è detto che l'ordine pubblico da strumento di tutela dei valori nazionali, da opporre alla circolazione della giurisprudenza, diviene progressivamente "veicolo di promozione" della ricerca di principi comuni agli Stati membri, in relazione ai diritti fondamentali.

La tutela del diritto fondamentale ad un equo processo, più volte enunciata, non è stata intesa come prerogativa assoluta, cioè intransigente ricerca di qualsivoglia violazione in relazione alle movenze processuali di ogni singolo Stato, ma come mezzo per impedire, tramite l'esecuzione di sentenze, soltanto lesioni manifeste e smisurate del diritto delle parti al contraddittorio e alla difesa.

 

Ciò comporta prioritariamente, sul piano processuale, la ricerca di fattori unificanti e non di impedimenti all'esecuzione.

 

Pertanto le lesioni devono essere state tali da intaccare in concreto e in modo sproporzionato (si consideri in proposito il caso Renault, regolato dalla Corte di Giustizia) la sostanza stessa delle facoltà difensive. Inoltre la parte non può attestarsi a mò di trincea sul fronte dell'exequatur, se non ha fatto valere i propri diritti nel corso del giudizio a quo svoltosi nello Stato in cui sia stata evocata in giudizio.

 

2.3) Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite ritengono che il motivo di ricorso sia infondato.

 

La sentenza della Corte di appello ha chiarito puntualmente che il motociclista danneggiato aveva agito contro N. sul presupposto che le lesioni fossero derivate da un vizio del casco; che a seguito della transazione sulla base di un milione di dollari, N. aveva chiesto al produttore di "rifondere l'esborso effettuato"; che anche A.S. era stata citata in giudizio dal motociclista e, dopo le transazioni di venditore e importatore del casco, aveva a sua volta "tacitato le pretese del danneggiato nei suoi confronti con il pagamento della somma di cinquantamila dollari".

 

La Corte ha correttamente rilevato che non forma oggetto della delibazione la verifica delle doglianze concernenti la asserita carenza di responsabilità con riferimento ai danni patiti dal motociclista.

 

Ha specificato che il fondamento della condanna a garantire N. risiede nelle scelte processuali di A.S., la quale non ha voluto partecipare, sostituendosi a N., al giudizio di responsabilità intentato dal motociclista - si badi qui: per i danni derivatigli da difetti del casco - e si è giovata della transazione conclusa dal venditore. A.S. ha infatti successivamente concluso una propria transazione diretta con il motociclista, per importo mitigato dalla soddisfazione dichiarata da quest'ultimo "anche alla luce degli esborsi già ricevuti".

 

Le censure addotte da parte ricorrente si concentrano nella asserita carenza di accertamento della responsabilità del garante e sulla tesi che la valutazione della Corte statunitense sarebbe stata limitata a una stima "probabilistica dell'esito della sola causa intentata dal danneggiato nei confronti del garantito".

 

Queste doglianze non evidenziano però alcuna lesione del principio fondamentale, prima ricordato, che regge la materia del riconoscimento di sentenze straniere, secondo il quale non ogni differenza rispetto all'ordinamento processuale italiano può configurare il divieto di circolazione, ma solo la lesione del diritto di difesa rispetto all'intero processo.

 

La responsabilità nei confronti del garantito non è sorta infatti in assenza di possibilità di difesa, ma dopo che era stata offerta alla parte la possibilità di intervenire in giudizio e sostenere la posizione del venditore del casco, che vantava nei suoi confronti la garanzia per i vizi del prodotto acquistato e rivenduto al motociclista. Considerata la premessa della citazione, A.S. avrebbe potuto difendere la propria posizione di produttore assumendo la difesa del rivenditore.

 

Non risultano, e neanche in questa sede sono state prospettate, ragioni difensive che siano state sacrificate per effetto del meccanismo del potential liabifity test, cioè del rifiuto di accettare la assunzione diretta della difesa. Ed ancora, come ha notato la Corte di appello: nemmeno in presenza di anticipata comunicazione della proposta di transazione motociclista/N., la odierna ricorrente aveva sollevato obiezioni, opponendosi.

 

Va poi osservato che un'opportunità difensiva piena e diretta di A.S. era sorta in forza della citazione coevamente rivolta contro di lei dal motociclista, iniziativa giudiziaria anch'essa significativamente chiusasi con una transazione, cioè senza opporre difese tali da distinguere la posizione del produttore.

 

Anche in ragione di questa circostanza, che pur ha considerato un mero antefatto della pretesa di garanzia cui si riferiscono le sentenze da riconoscere, la Corte di appello ha escluso che vi sia stato un qualche significativo sacrificio delle facoltà difensive. Ha infatti opportunamente rilevato che, a differenza di quanto genericamente dedotto, parte A.S. non era stata in grado di indicare quali altre domande del motociclista — diverse da quelle risarcitorie per l'infortunio nel sinistro - essa avesse transatto.

Ed ancora, a riguardo dell'assenza di sacrificio di posizioni difensive, mette contp richiamare un altro profilo, evidenziato dalla Corte di appello, che raffcrza il giudizio di insieme sulla compatibilità, ai fini che interessano, del sistema processuale attuato: era stata la stessa A.S. ad accettare che il processo con N. fosse deciso su un'unica questione, rappresentata dal valutare se al momento della stipula della transazione N. avesse ragionevole motivo per temere le domande del motociclista.

 

2.3.1) Resta ancora da rilevare che il meccanismo processuale qui denunciato era strutturato sia sulla base della opportunità difensiva piena offerta al garante: assumere la difesa del proprio cliente/rivenditore in una causa imperniata sulla responsabilità per difetti del bene venduto; opporsi alla transazione preventivamente comunicatale; sia sulla valutazione probabilistica del giudice che ha ammesso il meccanismo processuale.

 

Ciò il giudice ha fatto sulla base dei presupposti appena descritti, trattandosi inequivocabilmente di regolare una chiamata in garanzia che, nel sistema processuale del paese in cui si è svolta la causa, è atteggiata diversamente dal sistema italiano, ma non impedisce la difesa sul fondo della responsabilità del chiamato.

 

Il sistema consente cioè che il produttore evocato in giudizio per rispondere delle conseguenze dannose di asseriti difetti di un proprio prodotto dimostri la assenza dei presupposti della propria responsabilità e, nel giudizio con il garantito, verifica complessivamente il comportamento processuale del garante, il quale ha un variegato armamentario difensivo.

 

E' stato fatto valere un meccanismo processuale che si fonda non certo su una responsabilità oggettiva, ma sull'onere del soggetto che è all'origine della catena causale del danno di "farsi avanti" se ha ragioni per contrastare la pretesa risarcitoria.

 

Qualora il garante abbia omesso di valersi delle opportunità difensive interne al sistema a quo, non gli è consentito nel giudizio di riconoscimento di far valere le differenze dei sistemi processuali, che non si siano risolte in compromissione irragionevole e sproporzionata del suo diritto di difesa.

 

3) Contro queste considerazioni si infrangono anche le doglianze esposte nel secondo motivo. Parte ricorrente attacca due parti della sentenza già esaminate:

a) quella in cui si afferma che A.S. aveva "profittato, ai sensi dell'art. 1304 c.c., dell'accordo stipL lato da N";

b) quella in cui la Corte ha ritenuto che il processo statunitense fosse stato limitato alla sola questione del rischio di condanna di N. in favore del motociclista.

 

Quanto al profilo sub a), parte ricorrente nega di aver mai profittato dell'accordo concluso da N. e sostiene che la Corte di appello avrebbe errato nell'inquadrare gli accordi intercorsi tra le parti, perché avrebbe omesso di considerare che con le sue dichiarazioni il motociclista aveva rinunciato ad ogni pretesa contro A.S. a fronte del pagamento di 50.000 USD e di altro "idoneo corrispettivo" ricevuto in precedenza.

 

L'accettazione di soli cinquantamila dollari sarebbe maturata in un contesto che faceva presagire «prospettive alquanto nefaste» per l'attore, sicchè, se la Corte di appello avesse correttamente inteso la vicenda, avrebbe dovuto escludere che A.S. sport avesse profittato della transazione che in precedenza gli altri convenuti avevano concluso con il motociclista.

 

Secondo parte ricorrente ciò avrebbe dovuto condurre la Corte di appello a negare il riconoscimento, per non esservi stata alcuna «cognizione in ordine alla responsabilità di A.S.» e alcun accertamento circa la effettiva responsabilità del garante, che non si era avvalso della transazione di alcun conclebitore.

 

La censura è sotto ogni profilo priva di fondamento. In primo luogo va rilevato che in sentenza non v'è nessuna traccia di ulteriori versamenti che (ricorso pag. 34) sarebbero stati fatti da A.S. al motociclista. Questo riferimento, come rilevato in controricorso, sembra introdurre un'allegazione nuova in punto di fatto e quindi un tema di indagine non ammesso in sede di legittimità.

 

In memoria 2016 parte ricorrente non ha potuto replicare a questo rilievo, che è confortato dal puntuale accertamento della Corte di appello circa il fatto che la transazione diretta motociclista — A.S. ebbe a riguardare proprio la domanda risarcitoria di danni e a completare la soddisfazione del danneggiato in considerazione degli «indennizzi pagati dal venditore e dall'importatore del casco».

 

E' dunque smentita nei presupposti di fatto la tesi, illustrata in memoria, secondo cui detta transazione costituisse non accettazione ma negazione della volontà di avvantaggiarsi della transazione «stipulata inter alios».

 

Di qui l'inattendibilità della ulteriore conseguenza, peraltro di per sé irraggiungibile per la marginalità dell'assunto di partenza, che il motivo di ricorso ha preso di mira: l'inammissibilità del riconoscimento di una sentenza resa (nel giudizio N./A.S.) senza che il garante abbia potuto contestare la fondatezza della domanda di garanzia per il solo fatto che il garante avesse «già autonomamente definito, in via transattiva, i propri rapporti con il danneggiato».

 

Resta infatti saldo il giudizio di assenza di lesione del diritto di difesa in relazione a un giudizio tra le parti che è stato articolato su premesse - il rifiuto di esercitare direttamente la difesa del rivenditore; l'accettazione di una propria transazione nel giudizio intrapreso dal danneggiato contro A.S. sugli stessi presupposti risarcitori; la valutazione probabilistica del giudice americano nell'ammettere, traendone fondamento per la pronuncia di garanzia, il meccanismo processuale ora denunciato - che dimostrano l'esistenza di spazi difensivi non incompatibili con il nostro ordinamento processuale.

 

3.1) Privo di decisività contro queste considerazioni è anche il secondo profilo del motivo, con il quale si contesta che fosse stata A.S. stessa ad accettare di restringere il processo con N. sull'unica questione attinente la opportunità della transazione stipulata da quest'ultima a fronte del rischio di una condanna per importi molto maggiori.

 

Parte ricorrente lamenta che sia stato omesso l'esame dell'affidavit dell'avvocato D.S., da cui è stata tratta questa considerazione della Corte di appello.

Deduce che la pre trial stipulation era stata conformata dalla mera presa d'atto della regola del potential liability test, con la conseguenza che il diritto di difesa e al contraddittorio sarebbero stati conculcati tra il dover accettare la transazione altrui e il doversi accollare la difesa del garantito.

 

La tesi è vanificata da una prima considerazione: solo "ad abundantiam" la Corte di appello ha valorizzato la circostanza che il processo con N. era stato spontaneamente circoscritto all'esame della ragionevolezza della transazione di N.. Il rilievo non sarebbe quindi decisivo. In ogni caso, come si è notato nei paragrafi precedenti, la possibilità di una diversa perimetrazione della materia del contendere è stata pregiudicata da A.S. con le altre scelte processuali fatte, quali il rifiuto di assumere la difesa del rivenditore e la stipula di una transazione diretta con il danneggiato.

 

Queste scelte hanno autolimitato e addirittura impedito l'accertamento della insussistenza di responsabilità del produttore, che non ha neppure indicato cosa avrebbe potuto dedurre di nuovo, in cosa concretamente sarebbe consistita la perdita di chances difensive.

 

4) Il terzo motivo denuncia violazione dell'art. 64 L. 218/95 e vizio di motivazione e lamenta che la Corte veneziana non avrebbe ravvisato che la sentenza della Corte USA riguardava, senza specifica motivazione in ordine alla tipologia di danni indennizzati, un indennizzo corrisposto al danneggiato anche a titolo di danni punitivi, perché la proposta transattiva N., accettata dal motociclista, fissava l'importo «a titolo di composizione integrale di tutte le pretese risarcitorie del sig. D., comprese quelle per punitive damages».

 

La Corte di appello ha respinto questo profilo delle difese di parte A., circa la contrarietà all'ordine pubblico della sentenza americana, sulla base di tre convergenti osservazioni.

Si possono così riassumere:

a) La sentenza non ha specificato quali danni sono stati indennizzati perché ha recepito "l'importo della transazione con il danneggiato";

b) non è necessario individuare la tipologia di danni, perché comunque A.S. si è avvantaggiata di tale transazione;

c) non risulta in atti il riconoscimento di tale profilo risarcitorio, ed anzi l'accordo va inteso diversa mente.

 

A.S., oltre a richiamare le difese già oggetto delle precedenti censure, sostiene che il testo della proposta transattiva imputava espressamente «il pagamento di cui alla transazione» a «risarcimento di danni punitivi» e che a Corte di appello non ne avrebbe tenuto conto.

 

In secondo luogo la violazione di legge e il vizio di motivazione vengono denunciati in riferimento alla carenza di motivazione della sentenza americana circa la tipologia dei danni liquidati.

 

La tesi svolta è che tale carenza motivazionale sarebbe ostativa al riconoscimento, «in presenza di un quantum risarcitorio abnorme». A questo proposito la ricorrente invoca Cass.1781/12 e Cass. 1183/07, precedenti di cui dà conto l'ordinanza di rimessione 9978/16 nel chiedere un ripensamento delle Sezioni Unite in ordine alla compatibilità dell'istituto dei punitive damages con l'ordine pubblico italiano.

 

4.1) Il motivo risulta inammissibile, giacché è imperniato su un presupposto insussistente: la configurabilità, nella condanna addebitata al garante, di una liquidazione di «danni punitivi» in favore della vittima del sinistro. Su questo punto, che il ricorso non riesce a scalfire, la valutazione della Corte di appello non è viziata da omesso esame di alcun fatto decisivo, nel senso voluto dalla riforma dell'art. 360 n. 5 c.p.c..

 

Occorre subito ricordare che secondo la giurisprudenza della Corte (SU 805:3/14) va esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione e viene in rilievo, ai fini del controllo sulla motivazione, soltanto l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia cost tuito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo.

 

Nel caso di specie va escluso che vi sia stata la lamentata «totale obliterazione del fatto che la proposta transattiva» accettata da N. e posta a base della sentenza di condanna del garante riguardasse anche la pretese per punitive damages.

 

Nell'ultimo periodo di pag. 21, la Corte di appello ha chiaramente considerato la circostanza che si era discusso tra le parti di danni punitivi. Ha però ritenuto che l'accordo non implicasse la liquidazione di danni punitivi e il loro recepimento, ma «solo che N. richiese una rinuncia anche a pretese per danni punitivi, in un'ottica di chiusura complessiva dei rapporti tra le parti». Questa inequivocabile motivazione, che rimanda a un'interpretazione della sentenza americana alla luce della transazione che sta alla base della liquidazione, non è quindi viziata dall'omissione ipotizzata nel motivo di ricorso.

 

L'accordo transattivo è stato considerato e la maggiore o minore plausibilità delle conclusioni raggiunte in ordine alla sua portata non è sindacabile in questa sede (circa i limiti del controllo sull'apprezzamento del giudice di merito sul contenuto del provvedimento da delibare, indagine di fatto riservata al medesimo giudice cfr proprio Cass. 1183/07 e, ivi, i richiami a Cass. n. 1266/1972, n. 3709/1983, n. 3881/1969) La censura è quindi inammissibile.

 

Anche il secondo profilo del motivo è inammissibile.

 

Esso afferma che la sentenza americana sarebbe veicolo di una liquidazione di danni punitivi, sul presupposto dell'abnormità del risarcimento accordato al danneggiato. Questo presupposto, indispensabile premessa della tesi che propugna il divieto di ric:onoscimento nel nostro ordinamento, ex art. 64, dei c.d. danni punitivi, è tuttavia enunciato apoditticamente.

 

Va ricordato in proposito che, se è vero che in caso di contestazione del riconoscimento della sentenza straniera, ai sensi dell'art. 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, l'indagine relativa alla sussistenza dei requisiti del riconoscimento deve essere compiuta dal giudice anche d'ufficio (Cass.136(52/04), tuttavia tale indagine incontra i limiti delle risultanze processuali, seccndo i relativi oneri probatori delle parti.

 

Nel caso di specie, a fronte di grave pregiudizio alla persona (al calcolato silenzio del ricorso sul punto, ha fatto riscontro il dettagliato controricorso, che ha specificato i particolari delle lesioni craniche e dei postumi invalidanti subiti dall'infortunato) la liquidazione, peraltro su base transattiva, di un importo di un milione di euro (o due, considerando la analoga transazione stipulata dall'infortunato con H., come sottolineato negli scritti di parte), non è definibile di per sé abnorme.

 

L'apprezzamento di fatto reso sotto questo profilo dalla Corte di appello non è sindacabile in questa sede, perché la Corte di appello ha valorizzato la considerazione della sentenza americana circa la ragionevolezza della transazione e ha osservato, a chiusura, che ulteriore somma era stata aggiunta a quell'importo con la transazione diretta A.S.-motociclista.

 

Se cosi è, non v'è margine in sede di legittimità per una nuova valutazione della pretesa abnormità degli effetti della sentenza americana nell'ordinamento italiano (questo è l'ambito del sindacato della Corte Suprema, che non può valutare la correttezza della soluzione adottata alla luce dell'ordinamento straniero o della legge italiana: cfr. 9483/13, ma già, acutamente, Cass.10215/07).

 

Non vi è questo spazio soprattutto perché lo si propugna in relazione all'asserita liquidazione di danni punitivi, dedotta in assenza di una puntuale evidenziazione, in ricorso, delle circostanze che legittimerebbero tale affermazione, relative alla articolazione (tra danni patrimoniali, morali ed eventualmente punitivi) delle richieste delle parti, al loro fondamento giuridico nel sistema a quo, all'incedere delle contestazioni insorte sul punto nel giudizio americano, etc..

Né giova a parte ricorrente dedurre che in carenza di indicazione, nella sentenza, di regole e/o criteri di liquidazione del danno si dovrebbe presumere una natura parzialmente sanzionatoria del quantum transatto.

 

Questa via, che si inerpica nuovamente sulla strada impercorribile del vizio di motivazione, è contraddetta dalle stesse ammissioni (pag. 13 di memoria 2016) circa il fatto che nell'affidavit D.S., oltre alle spese mediche sostenute per 335.000 USD, la sola perdita della capacità di guadagno era stata stimata dai due a tre milioni di dollari.

 

Pertanto a poco vale addurre che inizialmente il difensore del motociclista aveva testimoniato avanti la giuria della Florida che il valore della domanda oscillava dai 10 ai 30 milioni di dollari. Proprio questa prospettiva, che avrebbe potuto essere grossolanamente sanzionatoria e abnorme, risulta abbandonata dal ridimensionamento della transazione ben sotto i limiti della sola componente patrimoniale del risarcimento richiesto.

 

Ne discende che non v'è alcun modo per ipotizzare il carattere "punitivo" della condanna pronunciata, carattere che comunque non si può presumere sol perché manchi nella sentenza, o meglio nella transazione recepita dal giudice americano, una chiara distinzione delle componenti del danno.

Il motivo in questo senso ripropone una lettura "radicale" dei precedenti specifici citati, i quali erano però fondati (cfr in particolare Cass. 1781/12) sul riscontro dell' "insufficienza argomentativa", canone ormai non utilizzabile e che costringe quindi chi si opponga al riconoscimento a individuare inequivocabilmente eventuali profili normativi falsamente applicati dal provvedimento di delibazione.

 

5) L'esito dei tre motivi svolti da parte ricorrente conduce al rigetto del ricorso.

 

L'inammissibilità dell'ultimo motivo dà tuttavia alle Sezioni Unite la facoltà di pronunciarsi sulla questione in esso dibattuta, potendosi interpretare l'articolo 363 co. 3 c.p.c. nel senso che la enunciazione del principio di diritto è consentita anche in relazione a inammissibilità di un singolo motivo di ricorso che involga una questione di particolare importanza, ancorché il ricorso debba nel suo complesso essere rigettato.

Nella specie le condizioni che giustificano l'enunciazione del principio di diritto si presumono dall'esteso dibattito dottrinale che da tempo sollecita un intervento giurisprudenziale sul tema e dalla stessa ordinanza di rimessione, stimolata dalla sagacia espositiva delle parti.

 

5.1) Nel 2007 la Cassazione ha fondato il rifiuto di riconoscimento di una pronuncia in materia, sancendo l'estraneità al risarcimento del danno dell'idea di 'Punizione e di sanzione, nonché l'indifferenza della "condotta del danneggiante".

 

ùHa affermato il carattere monofunzionale della responsabilità civile, avente la sola funzione di "restaurare la sfera patrimoniale" del soggetto leso. Immediatamente censurata dalla dottrina maggioritaria, che ha criticato il contrasto tra queste proposizioni e il dinamico percorso dalla nozione di responsabilità civile nei lustri anteriori, la sentenza 1183/07 ha trovato conferma qualche anno dopo.

 

In Cass. 1781/2012 l'esclusione del carattere sanzionatorio della responsabilità civile è stata più esplicitamente riferito ai limiti della «verifica di compatibilità con l'ordinamento italiano della condanna estera al risarcimento dei danni da responsabilità contrattuale».

 

Le Sezioni Unite ritengono che questa analisi sia superata e non possa più costituire, in questi termini, idoneo filtro per la valutazione di cui si discute.

 

Già da qualche anno le Sezioni Unite (cfr. SU 9100/2015 in tema di responsabilità degli amministratori) hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più «incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento».

 

Le Sezioni Unite hanno tuttavia precisato che questo connotato sanzionatorio non è ammissibile al di fuori dei casi nei quali una «qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall'art. 25 Cost., comma 2, nonché dall'art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali.»

 

Se si completa quest'avvertenza con il richiamo, altrettanto pertinente, all'art.23 Cost., si può comprendere perché mai, perfino nello stesso ambito temporale, ritornino (l'esempio più significativo: SU n. 15350/15) dinieghi circa la funzione sanzionatoria e di deterrenza della responsabilità civile.

 

Essi risalgono, quando non si tratta di meri arricchimenti argomentativi, alla esigenza di smentire sollecitazioni tese ad ampliare la gamma risarcitoria in ipotesi prive di adeguata copertura normativa.

 

Non possono valere tuttavia a sopprimere quanto è emerso dalla traiettoria che l'istituto della responsabilità civile ha percorso in questi decenni.

In sintesi estrema può dirsi che accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria dell'istituto (che immancabilmente lambisce la deterrenza) è emersa una natura polifunzionale (un autore ha contato più di una decina di funzioni), che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva.

 

5.2) Indispensabile riscontro di questa descrizione è il panorama normativo che si è venuto componendo.

 

Esso da un lato denota l'urgenza che avverte il legislatore di ricorrere all'armamentario della responsabilità civile per dare risposta a bisogni emergenti, dall'altro dimostra, con la sua vivacità, quanto sia inappagante un insegnamento che voglia espungere dal sistema, confinandole in uno spazio indeterminato e asfittico, figure non riducibili alla "categoria".

 

A incaricarsi di formare questo elenco, per definizione mai completo, sono state, oltre agli studi dell'Ufficio del Massimario, l'ordinanza di rimessione n.9978/16 e la sentenza n.7613/15, chiamata a vagliare la compatibilità con l'ordine pubblico italiano delle misure di astreintes previste in altri ordinamenti (nel a specie in quello belga).

 

Quest'ultima ha recensito: « in tema di brevetto e marchio, il R.D. 29 giugno 1127, n. 1939, art. 86, e R.D. 21 giugno 1942, n. 929, art. 66, abrogati dal D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30, che ha dettato a tal fine le misure dell'art. 124, comma 2, e art. 131, comma 2; il D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, art. 140, comma 7, c.d. codice del consumo, dove si tiene conto della "gravità del fatto"; secondo alcuni, l'art. 709 ter c.p.c., nn. 2 e 3, introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, per le inadempienze agli obblighi di affidamento della prole; l'art. 614 bis c.p.c., introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, il quale contempla il potere del giudice di fissare una somma pecuniaria per ogni violazione ulteriore o ritardo nell'esecuzione del provvedimento, "tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile"; il D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104, art. 114, redatto sulla falsariga della norma appena ricordata, che attribuisce analogo potere al giudice amministrativo dell'ottemperanza.»


Ha considerato «le ipotesi in cui è la legge che direttamente commina una determinata pena per il trasgressore: come - accanto alle disposizioni penali degli artt. 388 e 650 c.p. - l'art. 18, comma 14, dello statuto dei lavoratori, ove, a fronte dell'accertamento dell'illegittimità di un licenziamento di particolare gravità, la mancata reintegrazione è scoraggiata da una sanzione aggiuntiva; la L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 31, comma 2, per il quale il locatore pagherà una somma in caso di recesso per una ragione poi non riscontrata; l'art. 709 ter c.p.c., n. 4, che attribuisce al giudice il potere di infliggere una sanzione pecuniaria aggiuntiva per le violazioni sull'affidamento della prole; o ancora il D.L. 22 settembre 2006, n. 259, art. 4, convertito in L. 20 novembre 2006, n. 281, in tema di pubblicazione di intercettazioni L'ordinanza 9978/16 ha menzionato tra gli altri: gli artt. 158 della legge 22 aprile 1941, n. 633 e, soprattutto, 125 del d.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 (proprietà industriale), pur con i limiti posti dal cons. 26 della direttiva CE (cd. Enforcement) 29 aprile 2004, n. 48 (sul rispetto dei n. 133 0-14 D'Ascola rei (i/I\ 18 diritti di proprietà intellettuale), attuata dal d.lgs. 16 marzo 2006, n. 140 (v. art. 158) e la venatura non punitiva ma solo sanzionatoria riconosciuta da Cass. n. 8730 del 2011; - l'art. 187 undecies, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (in tema di inte-mediazione finanziaria); - "il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 (artt. 3-5), che ha abrogato varie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell'onore e del patrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno, irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecuniarie civili, con finalità sia preventiva che repressiva".


Entrambe le pronunce annettono precipuo rilievo alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 12, che prevede una somma aggiuntiva a titolo riparatorio nella diffamazione a mezzo stampa e al novellato art. 96, comma 3, c.p.c., che consente la condanna della parte soccombente al pagamento di una "somma equitativamente determinata", in funzione sanzionatoria dell'abuso del processo (nel processo amministrativo l'art. 26, comma 2, del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104).

 

Mette conto citare anche l'art. 28 del d.lgs n. 150/2011 sulle controversie in materia di discriminazione, che dà facoltà al giudice di condannare il convenuto al risarcimento del danno tenendo conto del fatto che l'atto o il comportamento discriminatorio costituiscono ritorsione ad una precedente azione giudiziale ovvero ingiusta reazione ad una precedente attività del soggetto leso volta ad ottenere il rispetto del principio della parita' di trattamento.

 

E ancora, si vedano l'art. 18 comma secondo dello Statuto dei lavoratori, che prevede che in ogni caso la misura del risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto; l'art. 28 co.2 del d.gs n.81/2015 in materia di tutela del lavoratore assunto a tempo determinato e la anteriore norma di cui all'art. 32, so , 60 e 70 comma, I. n. 183 del 2010, che prevede, nei casi di conversione in contratto a tempo indeterminato per illegittimità dell'apposizione del termine, una forfettizzazione del risarcimento.

 

L'elenco di "prestazioni sanzionatorie", dalla materia condominiale (art. 70 disp. Att. C.c.) alla disciplina della subfornitura (art. 3 co. 3 L. 192/98), al ritardo di pagamento nelle transazioni commerciali (artt. 2 e 5 d.lgs n. 231/02) n. i 33 0-14 D'Ascola rei w 19 è ancora lungo.

 

Non è qui il caso di esaminare le singole ipotesi per dirimere il contrasto tra chi le vuol sottrarre ad ogni abbraccio con la responsabilità civile e chi ne trae, come le Sezioni Unite ritengono, il complessivo segno della molteplicità di funzioni che contraddistinguono il problematico istituto.

 

5.3) Giova segnalare, piuttosto, che nella stessa giurisprudenza costituzionale si trovano agganci meritevoli di considerazione.

 

Corte Cost. n. 303 del 2011, riferendosi alla normativa in materia laburistica da ultimo citata (I. n. 183 del 2010), ha avuto modo di chiarire che trattasi di una novella «diretta ad introdurre un criterio di liquidazione del danno di più agevole, certa ed omogenea applicazione», avente «l'effetto di approssimare l'indennità in discorso al danno potenzialmente sofferto a decorrere dalla messa in mora del datore di lavoro sino alla sentenza», senza ammettere la detrazione dell'aliunde perceptum e così facendo assumere all'indennità onnicomprensiva «una chiara valenza sanzionatoria».

 

Corte Cost. n.152 del 2016, investita di questione relativa all'art. 96 c.p.c. ha sancito la natura «non risarcitoria (o, comunque, non esclusivamente tale) e, più propriamente, sanzionatoria, con finalità deflattive» di questa disposizione e dell'abrogato art. 385 c.p.c. Vi è dunque un riscontro a livello costituzionale della cittadinanza nell'ordinamento di una concezione polifunzionale della responsabilità civile, la quale risponde soprattutto a un'esigenza di effettività (cfr. Corte Cost.238/2014 e Cass. n. 21255/13) della tutela che in molti casi, della cui analisi la dottrina si è fatta carico, resterebbe sacrificata nell'angustia monofunzionale.

 

Infine va segnalato che della possibilità per il legislatore nazionale di conf gurare "danni punitivi" come misura di contrasto della violazione del diritto eurounitario parla Cass., sez. un., 15 marzo 2016, n. 5072.

 

Ciò non significa che l'istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani che pronunciano in materia di danno extracontrattuale, ma anche contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati.

 

Ogni imposizione di prestazione personale esige una "intermediazione legislativa", in forza del principio di cui all'art. 23 Cost. (correlato agli artt. 24 e 9 20 25), che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario.


6) Questo inquadramento del tema illumina la questione della compatibilità con l'ordine pubblico di sentenze di condanna per punitive damages.

 

La descrizione dell'ordine pubblico internazionale, "come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l'ordinamento interno in un determinato periodo storico, ma fondati su esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo comuni ai diversi ordinamenti e desumibili, innanzi tutto, dai sistemi di tutela approntati a livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria" (cfr. ord. 9978/16 pag. 21), può far pensare a una "riduzione della portata del principio di ordine pubblico".

 

Ciò che va registrato è senz'altro che la nozione di "ordine pubblico", che costituisce un limite all'applicazione della legge straniera, ha subito profonda evoluzione.

 

Da "complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici" (così Cass. 1680/84) è divenuto il distillato del "sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell'Unione europea dall'art. 6 TUE (Cass. 1302/13)".

 

La dottrina ha spiegato che l'effetto principale recato dal recepimento e dall'interiorizzazione del diritto sovranazionale non è la riduzione del controllo avverso l'ingresso di norme o sentenze straniere che possono "minare la coerenza interna" dell'ordinamento giuridico. Come si è anticipato sub § 2.2, a questa storica funzione dell'ordine pubblico si è affiancata, con l'emergere e il consolidarsi dell'Unione Europea, una funzione di esso promozionale dei valori tutelati, che mira ad armonizzare il rispetto di questi valori, essenziali per la vita e la crescita dell'Unione.

 

E' stato pertanto convincentemente detto che il rapporto tra l'ordine pubblico dell'Unione e quello di fonte nazionale non è di sostituzione, ma di autonomia e coesistenza.

 

Le 'Sezioni Unite ne traggono riprova dall'art. 67 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), il quale afferma che «l'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri».

 

Pertanto a fungere da parametro decisivo non basta il confronto tra le reazioni delle corti dei singoli Stati alle novità provenienti da uno Stato terzo, o da un altro stato dell'Unione; né lo è un'enunciazione possibilista come quella, proprio in tema di danni non risarcitori, contenuta nel Considerando n. 32 del reg. CE 11 luglio 2007 n. 864.

 

La sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall'ordinamento nazionale, quand'anche non ostacolata dalla disciplina europea, deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell'apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l'ordinamento costituzionale.

 

Se con riguardo all'ordine pubblico processuale, ferma la salvaguardia dell'effettività dei diritti fondamentali di difesa, il setaccio si è fatto più largo per rendere più agevole la circolazione dei prodotti giuridici internazionali, con riguardo all'ordine pubblico sostanziale non può dirsi altrettanto.

 

Gli esiti armonizzanti, mediati dalle Carte sovranazionali, potranno agevolare sovente effetti innovativi, ma Costituzioni e tradizioni giuridiche con le loro diversità costituiscono un limite ancora vivo: privato di venature egoistiche, che davano loro "fiato corto", ma reso più complesso dall'intreccio con il contesto internazionale in cui lo Stato si colloca.

 

Non vi potrà essere perciò arretramento del controllo sui principi essenziali della "lex fori" in materie, come per esempio quella del lavoro (v. significativamente Cass. 10070/13) che sono presidiate da un insieme di norme di sistema che attuano il fondamento della Repubblica.

 

Nel contempo non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani.

 

Non avrebbe utilità chiedersi se la ratio della funzione deterrente della responsabilità civile nel nostro sistema sia identica a quella che genera i punitive damages.

 

L'interrogativo è solo il seguente: se l'istituto che bussa alla porta sia in aperta contraddizione con l'intreccio di valori e norme che rilevano ai fini della delibazione.

 

7) Le considerazioni svolte fanno da guida alle conclusioni che si intendono raggiungere in materia di riconoscimento di sentenze che condannino a risarcire punitive damages.

 

Schematicamente si può dire che, superato l'ostacolo connesso alla natura della condanna risarcitoria, l'esame va portato sui presupposti che questa condanna deve avere per poter essere importata nel nostro ordinamento senza confliggere con i valori che presidiano la materia, valori riconducibili agli artt. da 23 a 25 della Costituzione.

 

Così come (cfr § 5.2) si è detto che ogni prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza espressa previsione normativa, similmente dovrà essere richiesto per ogni pronuncia straniera.

 

Ciò significa che nell'ordinamento straniero (non per forza in quello italiano, che deve solo verificare la compatibilità della pronuncia resa all'estero) deve esservi un ancoraggio normativo per una ipotesi di condanna a risarcimenti punitivi.

 

Il principio di legalità postula che una condanna straniera a "risarcimenti punitivi" provenga da fonte normativa riconoscibile, cioè che il giudice a quo abbia pronunciato sulla scorta di basi normative adeguate, che rispondano ai principi di tipicità e prevedibilità.

 

Deve esservi insomma una legge, o simile fonte, che abbia regolato la materia "secondo principi e soluzioni" di quel paese, con effetti che risultino non contrastanti con l'ordinamento italiano.

 

Ne discende che dovrà esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicità) e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilità).

 

Resta poi nella singolarità di ogni ordinamento, a seconda dell'attenzione portata alla figura dell'autore dell'illecito o a quella del danneggiato, la declinazione dei risarcimenti punitivi e il loro ancoraggio a profili sanzionatori o più strettamente compensatori, che risponderà verosimilmente anche alle differenze risalenti alla natura colposa o dolosa dell'illecito.


Presidio basilare per la analisi di compatibilità si desume in ogni caso dall'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione relativo ai "Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene".

 

La sua applicazione comporta, è stato notato anche in dottrina, che il controllo delle Corti di appello sia portato a verificare la proporzionalità tra risarcimento riparatorio-compensativo e risarcimento punitivo e tra quest'ultimo e la condotta censurata, per rendere riconoscibile la natura della sanzione/punizione.

 

La proporzionalità del risarcimento, in ogni sua articolazione, è, a prescindere da questo disposto normativo, uno dei cardini della materia della responsabilità civile.

 

7.1) E' d'uopo a questo punto dar conto della circostanza che nell'ordinamento nordamericano, dal quale provengono le condanne per le quali la giurisprudenza degli Stati europei si affatica, vi è stata una rapida evoluzione, che ha ormai scacciato la prospettiva dei danni cosiddetti grossly excessive.

Se nel 1996 già la Corte Suprema (caso BMW Supreme Court [Usa], 20-05-1996) aveva ripudiato, con due sole opinioni dissenzienti, questa configurazione dell'istituto, dodici anni dopo il percorso si era quasi ultimato.

 

Nel mentre gran parte degli Stati disciplinavano normativamente l'istituto, sottraendolo a verdetti imprevedibili delle giurie (pur costituite, in origine, per garantire al danneggiante il giudizio dei suoi pari), la Supreme Court ( 20-02- 2007, caso Philip Morris) sanciva che nel diritto statunitense lede la due process clause, di cui al XIV emendamento della Costituzione, la concessione di danni punitivi basati sul valore del diritto di credito vantato da tutti coloro che non hanno instaurato la lite.

 

E la sentenza EXXON (U.S. Supreme Court, 25 giugno 2008) è giunta a stabilire anche un rapporto massimo di 1 a 1 tra importo della somma riconosciuta a titolo compensativo e liquidazione punitiva.

 

A guisa di esempio può essere utile uno sguardo all'attuale legge della Florida (Florida Statute), stato da cui provengono le sentenze di cui si tratta, ove sono stati introdotti limiti al fenomeno della responsabilità multipla.

 

Limiti costituiti dal divieto del ne bis in idem, dall'introduzione di massimali alternativi a seconda del tipo di responsabilità che si configura, dalla necessità di seguire un complesso rito con una verifica iniziale della responsabilità ed una fase successiva relativa agli eventuali punitive damages (un miniprocesso, significativo per quanto riguarda il nostro sistema in quanto rafforzamento della garanzia sul procedimento ex art. 24 Cost.).

Non è dunque puramente teorica la possibilità che viene schiusa con la revisione giurisprudenziale che le Sezioni Unite stanno adottando.

Il caso di specie, che neppure comporta pronuncia a risarcimenti punitivi, non offre il destro per ulteriori approfondimenti, che la casistica potrà incaricarsi di vagliare.

 

Ciò che conta ribadire è che la riconoscibilità del risarcimento punitivo è sempre da commisurare agli effetti che la pronuncia del giudice straniero può avere in Italia, con tutta l'ampiezza di verifica che si deve praticare nel recepimento, con le pronunce straniere, di un istituto sconosciuto, ma in via generale non incompatibile con il sistema.

 

8) E' quindi possibile enunciare il seguente principio di diritto:

 

Nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tal genere deve però corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa ed i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico.

 

Il rigetto del ricorso comporta la sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato.

 

Le spese di questo grado del giudizio possono essere interamente compensate, in considerazione della novità e complessità delle questioni esaminate.

 

PQM

 

La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

 

Enuncia, ai sensi dell'art. 363 cod. proc. civ., il principio di diritto di cui al punto 8 della motivazione.

 

Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all'art.13 comma 1 quater del d.p.r 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dal comma 17 dell'art. 1 della legge n. 228/12, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.