I principi del processo penale minorile

Ringraziando i lettori per l'interesse manifestato verso questo sito, si anticipa il primo articolo del D.P.R. n. 448/1988 che nei prossimi mesi spero di poter pubblicare interamente commentato, con appendice normativa e giurisprudenziale. Il testo, ovviamente nella sua versione digitale, è concepito per essere interattivo.

Art. 1 Principi generali del processo minorile

1. Nel procedimento a carico di minorenni si osservano le disposizioni del presente decreto e, per quanto da esse non previsto, quelle del codice di procedura penale. Tali disposizioni sono applicate in modo adeguato alla personalità e alle esigenze educative del minorenne.

2. Il giudice illustra all'imputato il significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché il contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni.


CORRELAZIONI: art. 3, 13, 19 e ss., 20, 21, 27, 28, 31, 32, 33 D.P.R. 448/1988, artt. 2, 3, 10, 30 e 31 Cost., L. n. 176/1991, R.D.L. n. 1404/1934, D.Lgs. n. 274 del 2000, L. n. 354/1975, D.Lgs. 272/1989, art. 28 D.P.R. 313/2002, ONU A/RES/40/33; GIURSIPRUDENZA: Corte Cost., 30 Aprile 1973, n. 49, Corte cost., 25 Marzo 1992, n. 125, Corte Costituzionale, Sent. 22 Gennaio 2015, n. 1

 

INDICE: 1. Processo minorile e rito ordinario. Il favor minoris; 2. Altre fonti; 3. Il recupero del minore e la funzione educativa. Principio di adeguatezza; 4. Altri principi del processo penale minorile; 5. La composizione dell’organo Giudicante

 

1. Processo minorile e rito ordinario. Il favor minoris

avvocato avvocati
Francisco de Goya - Scena di prigione - 1808

Il processo penale minorile suole definirsi un sistema aperto stante il richiamo espresso in via sussidiaria alla disciplina del rito ordinario penale.

La Corte Cost., sent. n. 323/2000, ha esteso l’ambito applicativo delle norme del codice di procedura penale, ritenendole prevalenti su quelle del D.P.R. n. 448/1998, laddove risultino più favorevoli al minore: “Quale che sia dunque, in generale, la ricostruzione che si debba effettuare dei rapporti fra norme del codice e norme del decreto sul processo minorile, trattandosi in questo caso di una norma specifica di maggior favore per i possibili destinatari delle misure cautelari, introdotta ex novo a distanza di tempo dal momento in cui furono delineate le due parallele discipline del codice e del decreto sul processo minorile, e al di fuori, com'è evidente, di ogni intento legislativo di revisione dei rapporti fra le due discipline, si deve ritenere che essa sia applicabile anche agli indagati minori, in base al principio, seguito dallo stesso legislatore e conforme ai principi costituzionali e internazionali, del "favor minoris". In assenza, infatti, di ostacoli testuali insuperabili, e dovendosi procedere ad una interpretazione sistematica, non può non darsi rilievo preminente, nella ricostruzione della disciplina, ai criteri di fondo che la ispirano, fra cui quello appunto del trattamento più favorevole per l'indagato minorenne” (Corte cost., 21-07-2000, n. 323).

Per esempio, “giusta il disposto di cui all'art. 1 D.P.R. D. L.vo 28 luglio 1989 n. 272, che prevede l'applicabilità delle norme del codice di rito anche al rito minorile per quanto non diversamente disposto va ritenuto corretta l'applicazione delle norme dell'art. 129 c.p.p., che fa obbligo al giudice della immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità in ogni stato e grado del procedimento, a tutela del principio generale del "favor rei" anche da parte del G.I.P. nel processo minorile se la pronuncia non richiede alcuna particolare valutazione della personalità del minore” Cass. Pen., sez. IV, ud. 30 Novembre 1995, dep.01 Febbraio 1996, n. 1134.

Tale trattamento di maggior favore affonda le sue radici negli artt. 2, 3, 10, 30 e 31 Cost. ed in numerose fonti internazionali quali, ad esempio, la risoluzione del Parlamento Europeo del 21 Giugno 2007, n. 2007/2011 sulla delinquenza giovanile; Raccomandazione del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa sulle risposte sociali alla delinquenza minorile n. 20/1987 del 17 Settembre1987; le c.d. “Direttive di Riyadh” (Direttive ONU per la prevenzione della delinquenza minorile del 14 Dicembre 1990); Convenzione sui diritti del fanciullo, New York 20 Novembre 1989 ratificata con Legge 27 Maggio 1991, n. 176; le c.d. “Regole di Pechino” (v. il testo originale approvato con interpretazione autentica delle regole minime per l'amministrazione della giustizia minorile del 29 Novembre 1985, ONU A/RES/40/33); Dichiarazione ONU sui diritti del fanciullo del 20 Novembre 1959.

2. Altre fonti

Stante la mancata abrogazione da parte del D.P.R. n. 448/1988 debbono ritenersi ancora vigenti le norme del Regio Decreto-Legge, 20 luglio 1934, n. 1404, che istituisce e disciplina i Tribunali per i Minorenni.

Ciò vale, in particolare, per “l'istituto della riabilitazione speciale previsto dalla legge istitutiva del tribunale per i minorenni (art. 24 R.D.L. 20 luglio 1934 n. 1404) non è stato abrogato né espressamente né tacitamente dalla entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, non sussistendo incompatibilità tra le nuove disposizioni, che secondo il legislatore delegante dovevano essere limitate alla disciplina del processo minorile secondo i principi generali del nuovo processo penale, e la norma di natura sostanziale che prevede la riabilitazione speciale per i minori” Cass. pen., sez. I, 10 Marzo 1992, n. 78, RV189602.

Ferma ovviamente restando la competenza funzionale ed esclusiva del Tribunale per i Minorenni, (v. art. 3) ai reati che sarebbero di competenza del Giudice di Pace si applicano le sanzioni previste dal D.Lgs. n. 274 del 2000 (Cass. pen. Sez. V, 03 Aprile 2013, n. 35247, rv. 255766)

Quanto alla fase esecutiva, l’art. 79 della Legge 26 Luglio 1975, n. 354, in materia di ordinamento penitenziario ed esecuzione stabilisce che “le norme della presente legge si applicano anche nei confronti dei minori degli anni diciotto sottoposti a misure penali, fino a quando non sarà provveduto con apposita legge. Nei confronti dei minori di cui al comma precedente e dei soggetti maggiorenni che commisero il reato quando erano minori degli anni diciotto, le funzioni della sezione di sorveglianza e del magistrato di sorveglianza sono esercitate, rispettivamente, dal tribunale per i minorenni e dal giudice di sorveglianza presso il tribunale per i minorenni. Al giudice di sorveglianza per i minorenni non si applica l'ultimo comma dell'art. 68

Il Legislatore non ha provveduto ad emanare “apposita legge” così che in linea di massima continua a trovare applicazione la disciplina generale ai sensi dell’art. 79 sopra citato. Si richiamano, infine, le norme di attuazione e coordinamento di cui al D.Lgs. 272/1989

3. Il recupero del minore e funzione educativa. Principio di adeguatezza

avvocato avvocati
Francisco de Goya - Scena di prigione - 1810

La funzione educativa e di recupero non era certo estranea al processo penale minorile in epoca antecedente il D.P.R. n. 448/1988.

La Consulta, per esempio, ebbe modo di evidenziare che “non può disconoscersi che il pubblico ministero assume, nel processo minorile, un ruolo e una fisionomia del tutto singolare che si ricollega al fine proprio della legge istitutiva del tribunale dei minorenni. Esso non è soltanto l'organo titolare dell'esercizio dell'azione penale in funzione della eventuale realizzazione della pretesa punitiva da parte dello Stato, ma anche, ed è questo un aspetto rilevante, l'organo che presiede e coopera al conseguimento del peculiare interesse - dovere dello Stato al ricupero del minore: a questo interesse è addirittura subordinata la realizzazione o meno della pretesa punitiva. Anche sotto questo profilo la scelta del legislatore corrisponde ad un accettabile criterio di ragionevolezza, che serve a legittimarla” Corte Cost., 30 Aprile 1973, n. 49

Tale funzione ha ispirato l’attuale sistema penale minorile ed a tale proposito si rammenta l’art. 3 della Legge Delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, n. 81/1987, nella parte in cui richiama “i principi generali del nuovo processo Penale, con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione

Le esigenze di recupero e di socializzazione dei minori devianti, che devono caratterizzare la giustizia minorile (v. Massima B), sono state tenute in particolare considerazione dal legislatore nel dettare le disposizioni del nuovo processo minorile (D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448) la cui complessiva ispirazione rieducativa risalta già nella direttiva generale posta con l'art. 3 della legge delega n. 81 del 1987, volta ad apportare ai principi generali del nuovo processo penale "le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche del minore, dalla sua maturità e dalle esigenze della sua educazione". Sulla scorta, pertanto, di tale indirizzo, sono stati introdotti congegni ed istituti tendenti ad attenuare l'offensività del processo per il minore ed a renderne residuale la detenzione, restringendo, ad esempio, i casi di custodia cautelare, estendendo l'ambito delle sanzioni sostitutive ed introducendo il nuovo istituto della sospensione del processo con messa alla prova” Corte cost., 25 Marzo 1992, n. 125, RV18211.

Ne è quindi derivata la consacrazione di principi fondamentali della Giustizia minorile, quali il principio di adeguatezza di cui all’articolo in commento, nella parte in cui impone che il processo sia cucito su misura del minore interessato, avuto riguardo della sua personalità e delle sue specifiche esigenze educative.

Come la Corte ha più volte avuto modo di affermare, la tutela del minore è interesse assistito da garanzia costituzionale (artt. 30 e 31 Cost.), derivandone che, in caso di commissione di reati, la giustizia minorile deve essere improntata all'essenziale finalità di recupero del minore deviante mediante la sua rieducazione ed il suo reinserimento sociale: Finalizzazione che deve caratterizzare tutti i momenti e le fasi attraverso le quali la giurisdizione penale si esplica nei confronti dei minori (per le conseguenze, v. anche massime C e D)”. Corte cost. 25 Marzo 1992, n. 125, RV18210 (conformi, tra le altre, Corte Cost., sent. nn. 222/1983 e 206/1987).

Ovviamente, affinché l’esperienza processuale si possa tradurre in una proficua esperienza educativa è fondamentale che l’interessato sia perfettamente consapevole del significato delle attività processuali che si svolgono in sua presenza nonché del contenuto e le ragioni anche etico-sociali delle decisioni, ed in quest’ottica deve leggersi il secondo comma della norma in commento.

4. Altri principi del processo penale minorile

Fra gli altri principi fondamentali, si rammentano: principio di specializzazione (v. art. 2), principio di minima offensività che impone di evitare, nell'esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e che tra l’altro implica la previsione di istituti processuali tesi a limitarne il più possibile i contatti con il sistema penale (Art. 20, Art. 21, Art. 27, Art. 28, Art. 32); principio de-stigmatizzazione del minore nella sua visione di se stesso e da parte della società (v. art. 13, art. 33, art. 28 del D.P.R. 313/2002); principio della brevità e della gradualità delle misure a carico del minore (v. artt. 19 e ss.); principio di indisponibilità del rito, per cui il Giudice può disporre l’accompagnamento coattivo dell’imputato non comparso (v. art. 31, primo comma); principio di auto selettività che implica la previsione di strumenti deflattivi ulteriori a quelli ordinariamente previsti; principio di residualità della detenzione.

5. La composizione dell’organo Giudicante

Sulla base dei principi sopra richiamati, la Consulta ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 458 c.p.p. e del primo comma dell’art. 1 in commento, nella parte in cui cui prevedono che, nel processo minorile, nel caso di giudizio abbreviato richiesto dall'imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la composizione dell'organo giudicante sia quella monocratica del giudice per le indagini preliminari e non quella collegiale prevista dall'art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

Ciò in quanto “L'interesse del minore nel procedimento penale minorile, pertanto, «trova adeguata tutela proprio nella particolare composizione del giudice specializzato (magistrati ed esperti)» (sentenza n. 310 del 2008), e questa composizione è stata opportunamente prevista anche per il giudice dell'udienza preliminare, formato «da un magistrato e da due giudici onorari, un uomo e una donna» (art. 50-bis, comma 2, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 - Ordinamento giudiziario). Per la loro specifica professionalità, che assicura un'adeguata considerazione della personalità e delle esigenze educative del minore, i due esperti che affiancano il magistrato contribuiscono anche all'osservanza del principio di minima offensività, che impone di evitare, nell'esercizio della giurisdizione penale, ogni pregiudizio al corretto sviluppo psicofisico del minore e di adottare le opportune cautele per salvaguardare le correlate esigenze educative” Corte Costituzionale, Sent. 22 Gennaio 2015, n. 1.