Le riforme della Costituzione sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.
Ottenuta l'approvazione delle Camere, le Leggi di riforma della Costituzione, sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne sia fatta richiesta da almeno un quinto dei membri di una Camera, cinquecentomila elettori ovvero cinque Consigli regionali. In questi casi, precisa l'art.138 Cost., la Legge sottoposta a referendum "non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi".
In altri termini, non é richiesto il raggiungimento di un quorum così che se alle prossime consultazioni popolari dovesse partecipare soltanto un cittadino, questi deciderebbe da solo, con il suo voto, le sorti della riforma.
La contestata carenza di legittimazione delle Camere
Prima di entrare nel merito della riforma, è necessario avere contezza del vivace dibattito che è sorto in merito alla legittimazione stessa delle Camere a legiferare e, a maggior ragione, riformare la costituzione. La contestazione nasce dal fatto che, nel dichiarare illegittime alcune norme (per come erano state modificate dalla Legge elettorale n. 270/2005, il c.d. porcellum), la Consulta ha reso, del tutto spontaneamente, la seguente precisazione:
"È evidente, infine, che la decisione che si assume, di annullamento delle norme censurate, avendo modificato in parte qua la normativa che disciplina le elezioni per la Camera e per il Senato, produrrà i suoi effetti esclusivamente in occasione di una nuova consultazione elettorale, consultazione che si dovrà effettuare o secondo le regole contenute nella normativa che resta in vigore a seguito della presente decisione, ovvero secondo la nuova normativa elettorale eventualmente adottata dalle Camere.
Essa, pertanto, non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto. Vale appena ricordare che il principio secondo il quale gli effetti delle sentenze di accoglimento di questa Corte, alla stregua dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, risalgono fino al momento di entrata in vigore della norma annullata, principio «che suole essere enunciato con il ricorso alla formula della c.d. “retroattività” di dette sentenze, vale però soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida» (sentenza n. 139 del 1984).
Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso, posto che il processo di composizione delle Camere si compie con la proclamazione degli eletti.
Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali.
Rileva nella specie il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e dunque si realizza in concreto attraverso la continuità in particolare dei suoi organi costituzionali: di tutti gli organi costituzionali, a cominciare dal Parlamento. È pertanto fuori di ogni ragionevole dubbio – è appena il caso di ribadirlo – che nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali: le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare. Tanto ciò è vero che, proprio al fine di assicurare la continuità dello Stato, è la stessa Costituzione a prevedere, ad esempio, a seguito delle elezioni, la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti «finchè non siano riunite le nuove Camere» (art. 61 Cost.), come anche a prescrivere che le Camere, «anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni» per la conversione in legge di decreti-legge adottati dal Governo (art. 77, secondo comma, Cost.)." (v. testo integrale sentenza C.Cost. n. 1/2014)
La decisione della consulta è stata aspramente criticata da molti fra i più autorevoli giuristi italiani, non per la censura del c.d. porcellum ma per queste ultime considerazioni (v. per esempio il saggio a firma del presidente emerito della Corte costituzionale, Prof. G. ZAGREBELSKY, La Sentenza n. 1 del 2014 e i suoi commentatori ⧉ , pubblicato in versione integrale da Il fatto quotidiano nel 2015, v. anche G. PALMA, I figli destituenti: i gravi aspetti di criticità della riforma costituzionale, GDS, 2016 ⧉ ).
Il richiamo al principio di continuità dello Stato risponde evidentemente ad esigenze di praticità e buon senso, non potendosi certo vanificare dieci anni di attività legislativa (oltretutto, per quanto concerne le Legislature già concluse all'epoca della Sentenza, non si registrano nemmeno particolari divergenze in diritto).
Molto si è discusso, invece, a proposito della Legislatura in corso, rispetto alla quale occorre distinguere l'attività svolta prima della declaratoria di incostituzionalità e quella svolta successivamente. Si è infatti osservato, in breve, quanto segue:
- il fatto concluso cui allude la Corte può essere soltanto il singolo atto, compiuto nel corso della Legislatura sino alla decisione della Consulta. Diversa cosa è la preservazione dello status dei Parlamentari, da un lato, e della composizione stessa del Parlamento, dall'altro: trattasi di fatti non conclusi ma che naturalmente si protraggono nel tempo in assenza di un titolo giuridicamente valido (o, meglio, in forza di un titolo di accertata illegittimità costituzionale). Secondo questo orientamento, in sostanza, andrebbe fatta salva soltanto l'attività compiuta dalle Camere fino alla declaratoria di incostituzionalità ma non certo quella successiva;
- l'investitura di un Parlamentare non può essere considerata un fatto concluso nei termini e per gli effetti suggeriti dalla Consulta anche in considerazione dell'art. 66 Cost. che in senso diametralmente opposto stabilisce che "ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità" (tra le quali cause deve annoverarsi in primis la declaratoria di incostituzionalità della Legge che li ha portati in carica)
- il principio di continuità dello Stato non ha alcuna efficacia sanante rispetto all'attuale Legislatura né può legittimare una proroga dei poteri delle Camere al di fuori dei casi previsti dalla Costituzione e, in ogni caso, quegli stessi istituti menzionati dalla Corte ben potevano essere impiegati in attesa di nuove elezioni, senza pregiudizio (ed anzi proprio a salvaguardia) dell'invocato principio di continuità;
- la sovranità popolare non può soccombere innanzi al principio invocato dalla Corte. In altri termini, applicando il ragionamento della Consulta, "se tra la Costituzione e lo Stato si crea una contraddizione, allora la Costituzione cede allo Stato e lo Stato può scrollarsi di dosso l’ingombro rappresentato da una Legge ch’esso stesso, per tempi più tranquilli, si è data. Chi è il sovrano? È lo Stato, come dice implicitamente la Corte, o è la Costituzione (o il popolo che agisce nelle forme e nei limiti della Costituzione) ... ?" (v. G. ZAGREBELSKY, op. cit.)
E' bene rammentare che, per quanto autorevoli, le considerazioni della Consulta estranee al sindacato di legittimità costituzionale sono prive di un intrinseco valore giuridico, trattandosi di valutazioni meramente incidentali senza efficacia di giudicato: la Corte Costituzionale interviene soltanto negli ambiti e nei limiti di cui all'art. 134 Cost. e non può decidere in ordine alla portata delle proprie determinazioni sull'Ordinamento. Tale questione viene espressamente definita dall'art. 136 Cost. per cui "Quando la Corte dichiara l'illegittimità costituzionale di una norma di Legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali"
Quali che siano le conclusioni, non siamo di fronte alle solita polemica sterile cui la politica ci ha ormai tristemente abituati ma ad una questione di rilevante spessore Giuridico che ha di certo contribuito ad alimentare un forte dissenso anche nel mondo accademico (basti pensare all'appello firmato dai cattedratici di ben 56 atenei italiani, A. D'ANDREA, L'azzardo costituzionale: Cosa andremo a votare nel referendum di ottobre 41 articoli che ridisegnano i poteri della Repubblica ⧉ , Edizioni Conoscenza, 2016). D'altro canto, che ci piaccia o meno, di nuove elezioni non ce ne sono state e le attuali Camere hanno adottato una legge di riforma della Costituzione che si propone di realizzare un valido cambiamento ed intervenire su diversi aspetti, alcuni dei quali anche molto sentiti (F.M. LUBELLI, se voteremo sì: Una rivoluzione a portata di mano ⧉ , Fiorentino Marco Lubelli, 2016).
Stante la mancata previsione di un quorum per il successo della consultazione popolare ed alla luce delle contestazioni di cui sopra, che alle prossime consultazioni si voglia "cogliere un'opportunità" o "scampare un pericolo" era senz'altro auspicabile un'ampia partecipazione popolare ed un voto quanto più informato e consapevole possibile.
Evidentemente così è stato ed infatti, con una affluenza record (quasi il 70%), il Popolo si è espresso negativamente arrivando quasi a toccare la soglia del 60% di voti contrari.
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Avv. Carlo Florio
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