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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

 

Dott. FIALE Aldo - Presidente -

Dott. GRILLO Renato - rel. Consigliere -

Dott. SAVINO Mariapia Gaetana - Consigliere -

Dott. GAZZARA Santi - Consigliere -

Dott. ACETO Aldo - Consigliere -

 

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

 

P.R. N. IL (OMISSIS);

 

avverso l'ordinanza n. 86/2014 TRIBUNALE di ROMA, del 14/07/2014;

 

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

 

lette le conclusioni del PG annullamento con rinvio.


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

1.1 Con ordinanza del 14 luglio 2014 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell'esecuzione, accoglieva l'istanza proposta nell'interesse di P.R. volta a dichiarare ineseguibile la pena di anni sei e mesi otto di reclusione ed Euro 30.000,00 di multa, inflitta al condannato con la sentenza della Corte di Appello di Roma del 28 luglio 2010, divenuta irrevocabile il 16 novembre 2011, sostituendo detta pena con quella di anni cinque, mesi sei e giorni venti di reclusione ed Euro 20.000,00 di multa per il reato di cui al D.P.R., art. 73, comma 4 per il quale era stata pronunciata la condanna.

 

1.2 Propone ricorso avverso la detta ordinanza P.R. deducendo, con unico motivo, la contraddittorietà e manifesta illogicità del provvedimento impugnato in quanto il Tribunale, anzichè ricalcolare la pena sulla base delle modifiche intervenute nella forbice edittale del reato di spaccio di sostanza stupefacenti nella ipotesi disciplinata dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4, come ripristinato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 32/14 del 12.2.2014, aveva rideterminato la pena sostituendosi al giudice di merito ed effettuando una rivalutazione dei fatti preclusa al giudice dell'esecuzione.

 

Ha presentato conclusioni scritte il Procuratore Generale presso questa Corte Suprema, instando per l'annullamento dell'ordinanza con rinvio al giudice a quo.


MOTIVI DELLA DECISIONE

 

1. Il ricorso è fondato. La questione sottoposta al vaglio di questa Corte Suprema, investe - come correttamente sottolineato dal P.G. nelle proprie conclusioni scritte - il tema, per la verità non nuovo, degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che abbia dichiarato illegittima una norma sanzionatoria sul giudicato, dovendosi in tali ipotesi verificare l'eventuale applicabilità del regime sanzionatorio di maggior favore (c.d. "Lex mitior") anche in relazione a condotte per le quali sia intervenuta una sentenza di condanna divenuta irrevocabile: problema rappresentato dal fatto che la dichiarazione di incostituzionalità non concerne una ipotesi di abolitio criminis, bensì una diversa e meno grave misura della pena, rispetto a quella irrogata in base alla legge precedente dichiarata incostituzionale, la quale diviene illegale, così come prospettato dalla difesa dell'odierno ricorrente.

 

2. Senza la necessità di dover ripercorrere i diversi orientamenti che nel tempo hanno affrontato questioni analoghe, ritiene il Collegio di richiamare la pronuncia delle SS.UU. 29.5.2014 n. 42848, P.M. in proc. Gatto, Rv. 260698. Con la detta decisione le S.U. hanno chiarito quali siano i limiti che il giudicato incontra rispetto ad una dichiarazione di illegittimità costituzionale di norma diversa da quella incriminatrice incidente sul trattamento punitivo, affermando che nel caso in cui la pena irrogata dal giudice della cognizione non sia stata interamente eseguita, "Il giudice dell'esecuzione deve rideterminare la pena in favore del condannato pur se il provvedimento correttivo da adottare non è a contenuto predeterminato, potendo egli avvalersi di penetranti poteri di accertamento e di valutazione, fermi restando i limiti fissati dalla pronuncia di cognizione in applicazione di norme diverse da quelle dichiarate incostituzionali, o comunque derivanti dai principi in materia di successione di leggi penali nel tempo, che inibiscono l'applicazione di norme più favorevoli eventualmente "medio tempore" approvate dal legislatore".

 

3. In tale solco si colloca poi altra decisione della Consulta (Sent.

 

210/13) secondo la quale, a fronte del sopravvenuto accertamento - ad opera della Corte EDU - dell'illegittimità convenzionale della norma sanzionatoria applicata dal giudice della cognizione (risolventesi ex art. 117 Cost., comma 1 in illegittimità costituzionale della norma medesima), il meccanismo indicato dalla L. n. 87 del 1953, art. 30 comma 4 consente di operare, nell'ambito dell'incidente di esecuzione, la parziale modifica del giudicato.

 

4. E da ultimo, con altra recente pronuncia delle S.U. è stata esclusa l'abrogazione implicita da parte dell'art. 673 c.p.p. della L. n. 87 del 1953, art. 30, comma 4 relativo alla cessazione dell'esecuzione e di tutti gli effetti penali di una sentenza di condanna irrevocabile in applicazione di norma dichiarata incostituzionale, attesa la natura processuale della norma codicistica (a differenza della natura sostanziale del menzionato art. 30, comma 4) che regolamenta il procedimento di esecuzione per l'ipotesi di abrogazione o declaratoria di incostituzionalità di una disposizione incriminatrice, evidenziandosi il concetto della legalità della pena - ed in particolare di quella che incide sulla libertà personale - la quale deve essere costantemente garantita in tutti i suoi momenti dalla irrogazione fino alla sua esecuzione (S.U. 24.10.2013 n. 18821, Ercolano, Rv. 258650).

 

5. Alla stregua di tali basilari principi osserva che il Collegio che nel caso in esame la pena del reato di spaccio di stupefacenti di tipo c.d. "leggero" (già contenuta nel cit. D.P.R., art. 73, comma 4 ripristinato sulla scorta della richiamata decisione n. 32/14 della Corte Costituzionale) si trova collocata in una forbice edittale compresa tra i due ed i sei anni di reclusione e tra Euro 5.164,00 ed Euro 77.468,00 di multa; il giudice della cognizione, nell'irrogare la pena in concreto aveva tenuto conto della legge vigente a quel momento che, omologando i vari tipi di stupefacenti, prevedeva una pena compresa tra i sei ed i venti anni di reclusione e tra i 26.000 e i 260.000 Euro di multa.

 

6. La questione prospettata dalla difesa del P. in sede di esecuzione, ed oggi oggetto di ricorso, concerneva l'ambito di intervento del giudice dell'esecuzione e, più in particolare, il punto relativo ai poteri di rideterminazione della pena: se limitati all'eliminazione della porzione di pena divenuta illegale ovvero liberamente esercitabili.

 

7. Nel caso de quo il Tribunale ha scelto di seguire la strada della eliminazione della pena divenuta illegale perchè eccedente il massimo, attestandosi, poi, su una quota sostanzialmente prossima al massimo edittale previsto nella nuova formulazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 4.

 

8. Tale criterio, come osservato rettamente dal Procuratore Generale, non è condivisibile perchè agendo in tal modo tutte le pene illegali superiori ai sei anni di reclusione in fase di esecuzione verrebbero riportate nell'ambito di una legalità standardizzata corrispondente ai sei anni di reclusione e dunque irragionevole, perchè basata su livelli immodificabili e predeterminati.

 

9. Deve seguirsi, invece, il criterio della rideterminazione della pena nell'alveo della forbice edittale come ripristinata per effetto della sentenza della Corte Costituzionale, in quanto il giudice dell'esecuzione recupera il potere di stabilire la pena rispettando i criteri irrinunciabili della proporzionalità ed adeguatezza, in ossequio ai parametri di cui all'art. 133 c.p..

 

10. Nella fattispecie in esame la motivazione adottata dal giudice dell'esecuzione omette di dare conto della corrispondenza del nuovo computo della pena a quei principi di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza costituzionalmente garantiti nel pieno rispetto della nuova legge mitigatrice suscettibile di applicazione retroattiva ai sensi dell'art. 2 c.p., comma 4.

 

11. Sulla base di tali indicazioni l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Roma che si atterrà, nella determinazione della pena, ai principi di diritto come sopra enunciati.


P.Q.M.

 

Annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Roma.

 

Così deciso in Roma, il 7 maggio 2015.

 

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2015